Poltronova

Radical Iconic Italian Design

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Prima di partire per le vacanze di Natale con i miei, mi organizzo col necessario per costruire quello che ho in testa. Si tratta di una sorgente di luce capace di attivare una delle mie creature.
La sorgente di luce sarà una palma, l’albero assurdo senza rami con cui dall’inizio del secolo abbelliscono le riviere d’Italia e probabile icona dello stile afro-tirolese che stavamo professando. Le foglie saranno in plexiglass, luminose, in cima a un tubo.
L’occasione: la famiglia di Lucia (futuri suoceri) e i miei si incontreranno per Capodanno in un luogo non neutrale, la casa dei miei a Roccamare; gli amici Archizoom, anche loro invitati, verranno a scorribandare nel mio territorio.
La creatura. Da tempo costruisco degli apparecchi elettronici capaci di emettere suoni al variare della luce che li colpisce. L’interesse che sostiene lo sforzo nella realizzazione dei circuiti è dovuto alla voglia di rendere attivi gli altri nel produrre una specie di musica. In realtà vengono prodotti suoni più o meno sgradevoli, inusuali e inaspettati. Una lettura forse ingenua, ma fortemente sentita della lezione di Duchamp: l’altra metà dell’arte la fa chi guarda, l’utente.

Il luogo. La casa di Roccamare, progettata da Ernesto Nathan Rogers nel 1958 per la nostra famiglia, è una casa speciale in un luogo speciale. Qualche traccia di razionalismo ammorbidito da citazioni delle pre-esistenze come le chiamava Ernesto. Immersa in una pineta a pochi metri dalla macchia mediterranea sul mare. Ha una torretta ispirata alle coloniche toscane, ma vetrata per poter stare immersi nelle chiome dei pini.
Lassù mi ritiro, imbratto e lavoro, senza render conto né far disperare i genitori. Ho tempo da Natale a Capodanno per realizzare la mia installazione.
Il lavoro. La sfida maggiore: il taglio delle foglie dalla lastra di plexiglass con un seghetto da traforo di quelli che usano i ragazzi per fare i modelli in scala. Bisogna continuamente liberare la lama per permettere all’archetto di non interferire col pezzo da tagliare, molto più grande dell’archetto stesso. Il plexiglass è particolarmente duro e il lavoro procede lentamente.

La base in truciolare dipinta di bianco–finto–marmo–di–Carrara con avvitati i supporti per sostenere il tubo. Il tronco della palma lo trovo dal trombaio del paese: un tubo di scarico di PVC arancione. Dipinto di nero ed è pronto. La lampada alogena, allora all’avanguardia, non dovrebbe scaldare tanto e poi a dicembre è freddo. Il trasformatore sistemato all’interno del tubo.
Il tappetino da preghiera di finta tigre portato dello studio, certamente un avanzo delle ricerche che stanno dando vita al Safari. Segna lo spazio tra lampada e stele, attraversando il quale si proietta l’ombra sulla stele.
Resta la stele, una specie di megalite della Lunigiana. Il tappetino serve per la preghiera verso la stele o verso la palma. Un rettangolo di truciolare col colmo semicircolare che contiene l’altoparlante e più in basso una piccola apertura per la fotocellula. Sul retro tutti i miei aggeggi, circuiti, interruttori, trasformatori etc.

Quanto all’elettronica: nello studio di villa Strozzi c’è una soffitta alla quale si accede con una scala in ferro. Lassù mi sono fatto il laboratorio di elettronica e costruisco i miei circuiti senza particolari competenze scientifiche ma con grande caparbietà sperimentale. Un’attività completamente separata dall’architettura, ma sempre di progettazione. Capodanno. L’ingresso della casa è protetto da un patio con tre pini e lì di notte la palma luminosa fa la sua figura. Prima di cena invito tutti a interagire con la mia installazione e tutto funziona. Quando la luce della palma che illumina la stele viene oscurata dal passaggio di qualcuno sopra il tappeto si innesca un forte strillo di grillo e anche questo nella notte fa il suo effetto. La festa è completa e si festeggia a tavola l’arrivo del 1968.

Rientro. Si torna a Firenze. Non ricordo se la palma viene portata alla Poltronova dal Camilli per stimolarlo a contribuire in qualche modo o se lo facciamo venire in studio. Può darsi che io non sia presente (magari qualche esame da sostenere?). Nel sodalizio straordinario che ci unisce, il contributo di ciascuno diventa di tutti. Ciscuno costruisce un suo discorso, talvolta arricchendo, talaltra sfottendo, esagerandone qualià e difetti, partendo per la sua strada che a sua volta qualcun altro avrebbe posseduto trasformandone senso e forma.
Un giorno Massimo torna da Agliana e, come avesse vinto alla lotteria, comunica che il nome della palma è San Remo. Ovviamente in omaggio alla città palmata che ospita il superpopolare festival. Naturalmente la versione senza foglie adatta a illuminare il soffitto si chiamerà Remo. (Dario Bartolini, aprile 2020)

Storia di una lampada, Natale 1967.
Dario Bartolini, Archizoom Associati