Poltronova

Radical Iconic Italian Design

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Poltronova Backstage.
Fortino Editions, 2016.
Curated by Francesca Balena Arista
www.fortinoeditions.com
www.garmentory.com

 

Nel 1957 Sergio Cammilli affitta un piccolo laboratorio dove lavorano tre o quattro tappezzieri, ad Agliana, piccola cittadina in provincia di Pistoia, prossima a Quarrata, fin dagli anni ’50 un importante distretto del mobile imbottito nella Toscana della ricostruzione. La chiama Poltronova, “nova” per distinguerla dalla vecchia produzione di imbottiti e “mobili in stile”, allora dominante nel distretto di Quarrata. L’anno dopo nomina Ettore Sottsass direttore artistico della Poltronova, e lo stesso anno Adriano Olivetti chiama Sottsass a collaborare e poi sostituire Nizzoli nella direzione artistica della azienda. La fabbrica olivettiana, la grande fabbrica fordista che nella “visione olivettiana” [Marco Revelli, in II vento di Adriano, Roma, DeriveApprodi, 2015, p. 16] era una variante interna al fordismo… “un fordismo dolce”, “soft” capace di conciliare la produzione massificata di merci con la bellezza, il profitto con la cultura, e usare l’arte al servizio dell’industria, aveva in quegli anni, nella provincia, nella piccola Agliana, un piccolo imprenditore Cammilli, certamente ben lontano dalla grande visione complessiva della “Nova Comunità Olivettiana” ma che, nella sua marginalità voleva fare lo stesso con le poltrone, usare l’arte dentro l’industria per dare modernità, innovazione tecnica e produttiva ma soprattutto estetica alle poltrone. Non a caso aveva, negli stessi anni, scelto quell’“art director” che aveva scelto Adriano.

 

Anche Cammilli, come il grafico Nizzoli e l’architetto, ceramista, fotografo Ettore Sottsass, veniva dal mondo dell’arte. Era stato studente all’istituto d’arte di Porta Romana in Firenze, aveva fatto il Monumento ai caduti della sua antifascista Agliana e aveva disegnato per la sua Poltronova la “Toscanella”, una versione moderna della tradizionale sedia impagliata toscana. Noi [Archizoom Associati] neolaureati, progettisti radicali, contestatori della visione produttivistica del progetto, cercavamo nuove merci, nuove tipologie di prodotto e immagini capaci di dare forma alla nostra contestazione e cercavamo di portare l’arte dentro la politica. Non a caso nel 1966 il nostro incontro con Cammilli non avvenne né nell’università né nell’azienda, ma in una galleria d’arte, la Jolly 2 di Pistoia, in un tempo in cui né i designer e né gli architetti si mostravano nelle gallerie e neanche gli imprenditori andavano a cercare i progetti da produrre nelle gallerie d’arte. Cammilli vide, della Superonda, un prototipo al vero, realizzato in stratificato e compensato, dipinta a strisce verdi e arancione, e in quella mostra della Superarchitettura incontrò anche un modo diverso, disincantato, antiaccademico, tutto pop, di progettare la merce. Chiamò il suo art director Sottsass e subito decisero di metterla in produzione. Ricordo una riunione nella sala riunioni, al primo piano della nuova sede della Poltronova. Eravamo io, Ettore e Cammilli con in mano un modello in scala 1:5 in cartone a strisce blu su fondo bianco. Lui propose subito la realizzazione del prodotto in schiuma della Pirelli: “Ci possono arrivare qui i pani in schiuma già tagliati che dobbiamo solo rivestire”.

 

 

Scegliemmo per il rivestimento Io sky, un tessuto impermeabile molto economico, usato, bianco, da Oldenburg per alcune sue sculture, e che si usava in colori elementari, rosso, verde, giallo, nero, per fare impermeabili di basso costo indossati da ragazzine anticonformiste che del colore sfacciato e del sintetico si vantavano. Un giorno ero lì per il primo prototipo del Safari, fatto tra parentesi da Cammilli nei fine settimana in fiberglass con un suo amico farmacista. Mi accompagnò in magazzino e mi fece vedere una ventina di pani già tagliati, pronti per essere rivestiti. Non era più un prototipo e neanche un pezzo unico, ma grazie all’ingegnerizzazione di Cammilli un prodotto di possibile grande serie, e questo piaceva a Cammilli, era veramente un prodotto industriale, con costi da prodotto industriale, dove la manualità si riduceva al taglio e alla cucitura del rivestimento, ma la cui forma e tipologia di prodotto era assolutamente inedita, un divano letto a una piazza che poteva essere usato come divano e perfino chaise longue, rivestito di un tessuto plastico, lavabile, leggero, tutto sintetico, tutto nuovo, una piccola rivoluzione se messo accanto ai divani in stile di Quarrata. Lui sognava di fare la Fiat dell’imbottito ad Agliana? Forse.

Cammilli veniva dal mondo dell’arte ma era di Agliana, paese di provincia, paese antifascista, una provincia rossa, come si diceva allora, dove comunque la cultura, per gli impegnati politicamente, era un inestimabile valore. Anch’io venivo dalla provincia, avevo una formazione politica, avevo militato nel movimento studentesco, ero allora militante di un gruppo della sinistra extraparlamentare chiamato Potere Operaio. lo e Cammilli non parlavamo mai di politica, ci davamo del lei, e nelle nostre assidue frequentazioni per realizzare prima il prototipo della Superonda poi del Safari, poi della Mies, o nei lunghi viaggi con la sua Alfa Romeo bianca per andare a Milano a vedere il Salone del Mobile, entrambi sapevamo che lui era comunista e che io ero un extraparlamentare di sinistra. Per me era molto importante sapere che Cammilli era comunque un “compagno” e che se anche era un “padrone” aveva un rapporto con i suoi pochi dipendenti che ti faceva facilmente capire che per lui erano dei collaboratori, non dei dipendenti. E poi per noi due che venivamo dalla provincia la cultura era un valore, un valore che doveva poterci far cambiare lo stato presente delle cose, e dare una nuova e attuale qualità ai prodotti di arredamento.

 

 

But Cammilli and I never discussed politics. We were formal in our conversations, and we saw a lot of one another during the Superonda, Safari, and Mies prototype productions. Then there were also our long car rides in his white Alfa Romeo heading for the furniture fair in Milan. Both of us knew he was a communist and I was a left-wing extra-Parliamentary activist. It was very important for me to know that Cammilli was a “comrade,” and even though he was the “owner,” the relationship he had with the few employees of his easily made you understand that, for him, they were his collaborators and not his servants. And, for us small-town guys, culture was something positive, a value that could change the status quo and give a new and modern quality to furniture. Art wasn’t supposed to give just an aesthetic value, but also existentially legitimize that grand series the factory promised against all the behavioral and social backwardness of underpaid craftsmanship and cottage industry, which was still alive and kicking in Quarrata and across Italy’s production centers. So together our furniture sought a new kind of home, as affordable as possible to the not-so-well-off but educated. Quality furniture that was inspired, young, and bold, like Bob Dylan’s music or Allen Ginsberg’s poetry, or even Malcolm X himself. When the Morozzi sisters got married [Lucia with Dario Bartolini and Nicoletta with Andrea Branzi], I gave them two cardboard mitres plus two metal and rubber chairs made by the blacksmith Paolo Mariani, as our gifts to them. Both chairs were placed frontally, and separated by a narrow ottoman lit from below. Cammilli saw them at the wedding and, at first, made no comments. He said nothing, though he kept looking at them. Well, he didn’t wait for Sottsass’s opinion, and after awhile, he approached me at that crazy party and whispered, “Come to the factory tomorrow, and we’ll make it.” I can count on one hand those entrepreneurs who have made me feel such intense joy. So Cammilli wanted to create the FIAT of padding? Or that Design Center, that distribution center we at Archizoom and Superstudio were asked [in 1968] to design? Maybe both. Especially a “new distribution center,” an alternative to IKEA. Reading Facendo mobili con… once again: “The center should be like a vast collection of products that, without giving into luxury [my underline], may keep guaranteeing formal correctness and efficient service. The affordable price will draw the public at large to this kind of market… This organization will try to resolve the age-old problem of the home by considering its social aspect, above all.” In 1968, Archizoom was invited to take part in the Triennale di Milano, curated by De Carlo.

L’arte non doveva dare solo valore estetico ma anche legittimazione esistenziale a quella grande serie che la fabbrica prometteva, contro tutte le arretratezze comportamentali e sociali di quell’artigianato e di quel lavoro a domicilio sottopagato, che ancora resisteva a Quarrata e nei distretti produttivi d’Italia. Cercavamo insieme attraverso gli arredi una nuova casa il più possibile accessibile ai ceti meno abbienti, ma colta, di grande qualità, inventata, giovane e irriverente come la musica di Bob Dylan, e le poesie di Allen Ginsberg o Malcolm X. Al matrimonio delle sorelle Morozzi, Lucia con Dario Bartolini, e Nicoletta con Andrea Branzi, feci per regalo due mitrie in cartone, realizzate dal fabbro Paolo Mariani, come mio e suo regalo, due sedie in metallo e lastra di para. Le due poltroncine erano posizionate frontalmente, e divise da uno stretto poggiapiedi con luce sottostante. Le vide Cammilli alla festa di matrimonio e in un primo momento non fece commenti, non disse niente, guardava e riguardava. Ma non aspettò il parere di Sottsass, dopo un po’ mi si riavvicinò nel caos della festa e sotto voce mi disse: “Venga domani in fabbrica, le realizziamo subito”. Fu per me una intensissima gioia che pochi altri imprenditori hanno saputo farmi provare. Cammilli voleva fare la Fiat dell’imbottito? o quel Design Center, quel centro di distribuzione che a noi Archizoom e al Superstudio aveva chiesto 119681 di progettare? Forse entrambi, forse soprattutto un “nuovo centro di distribuzione”, un’alternativa all’IKEA. Rileggo in Facendo mobili con… [Poltronova edizioni, 1977, p. 150]: “Il centro dovrebbe configurarsi come una vasta raccolta di prodotti che senza concedere al lusso [mie le sottolineature], mantengano una garanzia di correttezza formale e di efficiente servizio. La fascia media dei costi faciliterà l’avvicinamento del grosso pubblico a tale mercato… Una organizzazione che cercherà di risolvere l’annoso problema della casa guardando soprattutto al suo aspetto sociale”. Nel ’68 l’Archizoom fu invitato a partecipare alla Triennale curata da Giancarlo De Carlo. Eravamo ancora giovani, età media 28 anni. Facemmo il progetto di un “Centro di cospirazione eclettica” che era il Mausoleo di Malcolm X, leader negro di religione mussulmana, assassinato nel 1965. È secondo me uno dei progetti migliori di Archizoom e certamente il più esplicitamente politico e ricco di coerenti e conseguenti invenzioni formali. Cammilli partecipò e finanziò la realizzazione del progetto, era ben felice di poter vantare di aver scoperto e sostenuto e promosso un gruppo di progettisti, politicamente motivati e capaci di coerenti innovazioni formali, che suscitavano sempre più interesse nella pubblicistica disciplinare sia di architettura che di design. Nel ’69 fu presentata al Salone del Mobile la Mies. Strapubblicata su molte riviste la Mies non si vendeva se non in piccoli numeri. Tentò nel ’71 una versione in legno ma non ebbe miglior fortuna. Mi diceva che ogni tanto incontrava Dino Gavina e Cesare Cassina e parlavano di design. Gli faceva piacere sentirsi parte di questo trio prestigioso. Un giorno mi disse: “Ho detto a Cesare Cassina di prendere contatto con voi. Non voglio sacrificarvi, la Cassina può darvi quello che io non riesco a dare”. Pochi giorni dopo arrivò nello studio di via Ricorboli, in Mercedes con autista, il Cesare Cassina e così cominciò un’altra storia. Iniziò il prof. Cammilli, imprenditore comunque anomalo, di provincia, fiducioso nel potere taumaturgico dell’arte, col metterci in contatto con Sottsass, finì la nostra collaborazione affidandoci alla Cassina. Ho una copia con dedica del suo libro, Facendo mobili con…. La dedica è: “All’amico e collaboratore Paolo Deganello con simpatia”, sono stato un amico e collaboratore e un compagno di strada del prof. Sergio Cammilli.