Poltronova

Radical Iconic Italian Design

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Da Ettore Sottsass.
A private scrapbook.
1957—2007

Com’è iniziato il suo rapporto di collaborazione con Poltronova?

«Come credo di aver scritto da qualche parte, la mia storia con Poltronova è iniziata nel 1956—57. Nel 1956 sono stato negli Stati Uniti, ed ero più o meno senza lavoro sia quando sono andato sia quando sono tornato. Quando sono tornato mi ha chiamato l’artista Agenore Fabbri e mi ha detto Senti, c’è una ditta qui in Toscana che si chiama Poltronova che vorrebbe qualcuno che gli disegni dei mobili. Questo naturalmente mi ha subito entusiasmato perché non avevo lavoro, e ho detto Va bene, facciamo qualcosa!»

In che cosa era diversa Poltronova dalle altre aziende?

«Mah le altre aziende… Quali erano? Cassina, Gavina e qualche altro: erano aziende del Nord, cittadine diciamo, quindi molto meglio attrezzate. La Poltronova in quegli anni era, come dire, un’ultima spiaggia dell’artigianato toscano, della qualità. Come lei può aver capito dai progetti di quegli anni quello era un momento di grande effervescenza per me; io allora andavo più veloce della Poltronova. Le cose che disegnavo erano troppo insolite. Mettiamo per esempio i Mobili Grigi: ne sono stati fatti dei prototipi e basta, e adesso sono nei musei. Ad esempio queste grate

Indica una foto dell’allestimento a griglie mobili disegnato per lo showroom Poltronova

né Cassina né Gavina si sarebbero mai sognati di farle. E non parliamo dei Mobili Grigi, follie totali…»

Poltronova produceva alcuni mobili vendibili, ad esempio la parete attrezzata CUB8 di Angelo Mangiarotti, per poi potersi permettere di fare in parallelo dei progetti sperimentali, come i suoi. 

«La sperimentazione si faceva, e qui è stata la particolarità di Cammilli che, essendo uomo d’arte, credeva nell’invenzione d’arte, credeva, come si direbbe oggi, in un design creativo. Per questo andavamo d’accordo: lui mi realizzava i prototipi, e io gli facevo ogni tanto qualche altra cosa “vendibile”. Questo momento qui

Indica la lampada Cometa

è stato molto interessante perché quella del sottovuoto era una tecnologia nuova e Cammilli ha investito per fare questi stampi.»


Le immagini fotografiche con le quali lei ha raccontato questi mobili sono molto particolari, ce le spiega?

«Nelle fotografie che andavo a fare in Poltronova c’è l’idea che l’arredamento non è un catalogo di oggettini messi in casa ma è il disegno di un luogo, diciamo, di uno stato esistenziale. Nelle fotografie dei Mobili Grigi c’è, ad esempio, una donna con i capelli sulla tavola, poi un’altra di cui si vede solo una gamba…il fatto che mettessi dentro queste gambe, questi pezzi… in un certo senso già denunciava che questi mobili sono disegnati per un’esistenza che ha coscienza del disastro esistenziale. Non sono disegnati per una famiglia piccolo borghese, tutti contenti e felici e così via. Creano un ambiente quasi metafisico, strano, quindi ancora meno funzionavano sul mercato, proprio non c’era verso.»

C’è in queste immagini anche un richiamo alla dimensione sensuale o addirittura sessuale dell’esistenza. 

«Assolutamente sì. Quello che lei chiama sensuale io lo chiamo sensoriale: la vita è percepita sensorialmente prima che intellettualmente. La sessualità poi fa parte di questo vocabolario sensoriale.»

Questo collage con lo specchio Ultrafragola, che è conservato nell’Archivio Poltronova, lo ha fatto lei? La figura di donna che si specchia sembra una delle ballerine dei quadri di Toulouse—Lautrec.

«Sì. Questo collage era per un catalogo Poltronova che non è stato mai realizzato. Ma l’immagine viene da un libro di un nobile austriaco che si divertiva a disegnare scene profondamente erotiche, alla fine dell’Ottocento—inizi del Novecento. Lo specchio serve alle signore soprattutto, e le signore hanno per natura la propensione alla seduzione. Quello che non andava, diciamo così, che non si vendeva, è proprio questo tentativo continuo che ho fatto di dare significati al disegno, diciamo di dare senso.»



E secondo lei questo oggi si vende? Lei è stato finalmente compreso?

«No, non sono stato compreso, oggi. Sono usato, sono venduto. Non è che necessariamente lei, quando vende una cosa, ha capito cosa vende: la vende e basta, perché ha capito che c’è un mercato.»

Nel 1977, quando è stato pubblicato il libro “Fare mobili con Poltronova”, che racconta i primi vent’anni di attività dell’azienda, è stata fatta una domanda ai progettisti: Abitare è facile?. Lei ha risposto con dei disegni: due persone a letto abbracciate con i vestiti sparsi tutt’attorno, e una semplice tavola apparecchiata con piatti e bicchieri: qui abitare è facile; poi una tavola imbandita stracolma di cibi e bevande: qui abitare diventa difficile. Perché?

«Abitare è facile è un’affermazione borghese, mettiamola così. Abitare è facile quando si hanno i soldi per abitare. La tavola imbandita è difficile da avere, bisogna essere borghesi per averla. Per me, per lei e per i nostri amici è facile, ma molta gente non ha la tavola da imbandire, non solo non ha la roba da metterci sopra, non ha nemmeno la tavola!»

«Anche nei momenti della vita l’abitare può essere più facile o meno facile. Magari tu hai tante belle arance e i fiori nella stanza ma ti hanno detto che tuo padre sta male, allora lì abitare diventa improvvisamente difficile. Quando ti innamori di una ragazza la sposi, e per un po’ di tempo sei tutto contento, abitare è facile, qualunque cosa va bene. Quando mi sono sposato eravamo così poveri che dovevo fare tre piani di scale per andare a prendere la legna per il camino. Ci arrangiavamo l’arredamento, se avevamo un cuscino colorato eravamo tutti contenti.  Adesso che sono più vecchio e più debole per esempio non riesco a dormire, non riesco a combattere i pensieri. Non so come rispondere a questa domanda Abitare è facile: vivere è facile?»

Vivere certamente no. 

Allora neanche abitare.