
Design Break 06 — Fotografando alla Poltronova. Cristiano Toraldo di Francia, Superstudio
Avevo 14 anni quando ho avuto in regalo la mia prima Rondine Ferrania con la quale ho iniziato a fotografare e poi a stampare su carta le immagini che registravo sul negativo; ho capito quasi subito che avrei potuto sostituire la mia giovanile scarsa propensione alla scrittura con un differente tipo di comunicazione e descrizione della realtà quotidiana, che mi avrebbe allo stesso modo permesso di raccontare storie, indagare l’animo umano, isolare e rendere visibili istanti della vita degli elementi naturali o artificiali del mondo, che mutano sempre più velocemente della nostra umana lenta comprensione. Quando poi ho iniziato a disegnare oggetti e architetture, la fotografia è diventata il sistema di comunicazione più aggiornato e diretto per rappresentare e trasmettere le diverse modalità di presenza e comportamento di una nuova realtà che cercavamo di insinuare, sconvolgendola, nella nostra quotidiana routine di intellettuali borghesi.
Poltronova Backstage.
Fortino Editions, 2016.
Curated by Francesca Balena Arista
www.fortinoeditions.com
www.garmentory.com
Nel gelido “teatrino” di posa della Poltronova ho costruito scene di ambienti immaginari i cui attori erano Adolfo, Roberto o il sottoscritto, fissati dalla foto nell’istante di una vita delocalizzata, circondati da oggetti dalla misteriosa funzione. Era importante per noi, come autori, mettere in gioco la nostra presenza fisica, diventando attori e cavie di una sperimentazione/ rappresentazione che tendeva a far coincidere arte e vita. Fotografavo gli oggetti e i mobili come fossero i nuovi compagni e messaggeri di una umanità che stava cambiando comportamenti e visioni, cercando di immaginare un futuro più libero e creativo: a volte cercavo di farli apparire dotati di anima e impegnati in uno stretto dialogo con le persone, altre volte come immobili ostacoli a un troppo rapido fluire dei pensieri e dei desideri degli umani.
E allora fotografavo la Luisa Cammilli bambina, vestita da fata che trasformava le lampade Excelsior in una foresta luminosa, mentre un altrettanto giovane Sandro con dei grandi occhiali scuri posava impaurito accanto al prototipo del Gherpe, del quale ci aveva appena inconsciamente fornito il nome. In seguito i due bimbi, la Tina e il sottoscritto avrebbero di lì a poco formato la “famiglia felice”, che viveva nei miei scatti fotografici, giocando con i cubi del sistema Kubirolo di Ettore, formando ziggurat e altre figure mitiche. Ricordo una foto nella quale un Cammilli, tra l’incredulo e il divertito, guarda come fosse a teatro la scena di un set che avevo organizzato per fotografare le colorate colonne ceramiche di Sottsass, nel quale comparivano l’Adolfo, i giovanissimi nipoti Cervini insieme a due giovani ragazze, tutti vestiti con lunghi camici bianchi, salvo il Natalini che indossava il mitico abito di velluto nero.
Questi ultimi scatti erano un affettuoso tributo all’amicizia con Ettore e alla comune passione per la fotografia. In realtà era quasi una gara non dichiarata che avevamo intrapreso con Sottsass, del quale, devo ammettere, invidiavo la irraggiungibile Hasselblad e il mitico obiettivo Planar, mentre io mi dovevo accontentare di una pesante Pentacon six di fabbricazione russa, dal trascinamento difettoso, che per fortuna montava ottiche Zeiss. Con lo stesso affetto e ammirazione ho fotografato anche alcuni oggetti degli amici Archizoom, con la convinzione di recare un contributo, registrando sul negativo istanti e immagini di una comune difficile e rischiosa avventura. Ma presto l’algido teatro di posa della Poltronova diventò stretto e iniziai a fotografare all’esterno cominciando dal Sofo, con il desiderio di fare a meno delle pareti e dell’architettura, cercando di costruire situazioni e ambienti solo con gli oggetti in mezzo alla natura, ai prati, agli alberi…