Poltronova

Radical Iconic Italian Design

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Il 4 dicembre 1966 s’inaugura a Pistoia alla galleria Jolly 2 una mostra intitolata Superarchitettura. Avevo già fatto una mostra dei miei quadri in quella galleria vendendone molti e il gallerista mi aveva chiesto di farne un’altra. Nel frattempo mi ero laureato in architettura e avevo deciso di smettere di dipingere perché “nessun uomo può servire due padrini”. Proposi una mostra di architettura ma, non avendo molto da esporre, invitai alcuni amici che in precedenza mi avevano invitato a una mostra a Modena. La mostra a Modena fu posticipata, così quella di Pistoia fu la prima sotto il segno dell’“architettura radicale”, che ancora non si chiamava così.
I miei amici si presentarono sotto il nome di Archizoom e io sotto quello di Superstudio. Nella mostra, in quella piccola galleria seminterrata c’era una serie di oggetti violentemente colorati che avrebbero potuto essere lampade, mobili, poltrone e divani; ma che non lo sarebbero mai diventati se alla mostra non fosse apparso il professor Cammilli, invitato dai suoi amici pittori: Barni e Ruffi che con me formavano “la Scuola di Pistoia”. La storia racconta che poi: “Natalini smise con la pittura e al suo posto subentrò Buscioni”, ma questa è un’altra storia, anche se il confine tra pittura e architettura nella mostra era molto incerto. Il professor Cammilli era la Poltronova, un’azienda persa nella campagna ad Agliana (vicino a Pistola) che produceva mobili e oggetti di design avendo come consulente o art director Ettore Sottsass.

 

 

Anche Cammilli (professore di disegno, credo, ma comunque “il professore” per tutti) era un artista nato verso il 1920 in una famiglia che aveva un laboratorio di marmista e con uno zio Edoardo, scultore tra l’Italia e America. Negli anni ’40 aveva dipinto e tra il 1944 e il 1950 aveva fatto bellissime sculture in pietra, apprezzate anche da Arturo Martini. Poi, dovendo abbandonare la scultura, si era cercato un’altra occupazione: “La fatica fisica della scultura, marmo o pietra, mi era impedita. Seguirono anni vuoti, deserti. Poi m’inventai un lavoro nuovo: interessante, ma anche molto impegnativo. Da allora è rimasta, vivendola quasi quotidianamente, l’amarezza di un impegno incompiuto, un sapore inesprimibile di tradimento”. Così scriveva Cammilli e forse è per questo che continuava a essere artista per interposta persona e si entusiasmò per quello che intravide in questo gruppo di giovani e nelle loro opere colorate.

Così dalla mostra passarono in Poltronova il Superonda degli Archizoom, la Passiflora e il Sofo del Superstudio. Così ci trovammo a far parte di una famiglia che comprendeva Sottsass, Aulenti, Michelucci, Mangiarotti… A parte Cammilli, cosa teneva insieme queste persone e soprattutto i loro “pezzi”? Pier Carlo Santini, in Facendo mobili con… (Poltronova edizioni, 1977), scriveva: “Forse ciò che tiene insieme, che lega tutti questi materiali, è solo la freschezza del gesto inventivo, lo sgarro alla norma, la singolarità tipologica, la peculiarità del trattamento dei materiali, la presenza del colore”. Il professor Cammilli parlava di mobili, di poesia. Lavorare alla Poltronova voleva dire lavorare tutti insieme, con Cammilli e con i suoi fantastici artigiani (ricordo Vinicio, così gentile ed elegante da far sembrare fuori luogo la sua gabbanella grigia).

 

 

Cammilli metteva le mani e il lapis sui disegni, e il pezzo nasceva “tra il fare, disfare, aggiustare, abbassare”. Anche mettere i nomi ai mobili era un esercizio collettivo di poesia. Una lampada si chiamava Gherpe; “perché se non sei bono arriva il gherpe e ti porta via”, un divano si chiamava Safari perché coperto in finto leopardo, i mobili in legno di Ceroli derivavano dai mobili nella valle di de Chirico. E qui, si apriva un’altra storia nella Poltronova: quella dei mobili d’artista che dopo diventarono la collezione dei Mirabili: Ernst, Barni, Ruffi, Nespolo, Marotta, Mendini.

Insomma, Cammilli produceva mobili sul confine tra arte e design, tra poesia e industria. Non voleva fare l’industriale e neanche il commerciante: penso che dal punto di vista finanziario fosse un mezzo disastro. Per rimanere amici a un certo punto il Superstudio decise di rinunciare alle royalties in cambio di qualche prototipo. Per il Superstudio, la Poltronova era un laboratorio e un antro incantato. Portavamo montagne di disegni: solo pochi diventavano mobili e oggetti, ma erano sempre esperimenti, idee buttate nel futuro che prima o poi sarebbero diventate realtà.

 

“Sofo è una seduta che puoi mettere in fila come un treno o usare per costruire montagne e troni, montagne e piramidi saldamente piantate nel terreno. Ma alla fine è solo un blocco di poliuretano, un cubo diviso in due parti da una “s” e quindi coperto da materiale con due grandi strisce. È il risultato di un’operazione molto semplice, senza sprechi materiali o intellettuali. Si presenta come un grande oggetto colorato, forse un po’ astratto, che, come tutte le cose con un po’ di gioia, sembra arrivato da un altro mondo.” (Poltronova Backstage. Fortino Editions, 2016 www.fortinoeditions.com)